“Ci sono abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ogni uomo, ma non l’avidità di ogni uomo.” Mahatma Gandhi
La mia prima volta in viaggio nel Paese del Sol Levante fu nel 2006, quando poco più che ventenne (ahi beata spensieratezza) ottenni un viaggio sponsorizzato dal Lions Club grazie al mio professore di chimica delle superiori. Per tre lunghe settimane girai per quasi tutto il Kansai (regione in cui si trovano le città di Osaka, Kyoto e Hiroshima) ed imparai un sacco di cose sullo stile di vita dei giapponesi, tra le quali anche l’usanza di fare dei piccoli doni ai propri ospiti. E fu così che tornai a casa con la valigia piena zeppa di regalini, uno yukata (kimono estivo), un happi ( una sorta di giacca-kimono da lavoro o utilizzata durante i festival locali) e un sacco di souvenir per ogni posto che ci portarono a visitare. Sicuramente non si può dire che i giapponesi siano avari e inospitali, tutt’altro. Lo dimostra anche una piccola usanza che prevede di riempire il bicchiere di sakè colmo fino all’orlo, e proprio per questo motivo servono su un piattino che ne raccoglie l’eccesso affinché non vada sprecato. I giapponesi sono un popolo molto ospitale e generoso proprio perché è connaturato nella loro tradizione: ciò che viene indicato con il termine Omotenashi (お持て成し o おもてなし) è l’insieme di tutte quelle pratiche di accoglienza ed ospitalità volte ad esprimere al proprio ospite tutta la cura, l’armonia e la capacità di prevedere le sue esigenze, senza per questo essere invadenti. L’Omotenashi ha radici molto profonde nella società giapponese e risale ai tempi del monaco Sen no Rikyū che fu uno dei maestri fondatori del Chadō (la cerimonia del tè).
Ora, prenditi un pochino di tempo e preparati a leggere una breve storia tratta dal libro “Racconti dei saggi del Giappone” di Pascal Fauliot (Ed. Ippocampo).
Il secchio e il satori
Da molti anni la monaca Chinoyo studiava lo zen sotto la guida del maestro Bukko. Malgrado praticasse intensamente la meditazione, non aveva ancora ottenuto il minimo satori1.
Una sera che, caduta la notte, era andata a prendere l’acqua al pozzo del monastero, si affacciò al bordo e scoprì il riflesso della luna che si specchiava nella liquida superficie. Vi affondò il suo vecchio secchio di bambù rattoppato e quando lo tirò su vide con gioia che adesso l’astro notturno si specchiava al suo interno. Tutta contenta di aver catturato la luna e di portarsela via, camminò con cautela per poter continuare a contemplarla nel recipiente. A un tratto, il fondo del vecchio secchio cedette, goro-goro! tutta l’acqua colò via e il riflesso della luna scomparve.
In un lampo la donna comprese quanto vana fosse la sua mente, sempre desiderosa di imprigionare la realtà mentre non poteva captarne che dei riflessi deformati. Nello stesso istante, fu inondata dalla sublime luce del Risveglio.
In seguito Chinoyo divenne la superiora di un importante monastero da lei fondato, e una statua con la sua effige ha attraversato i secoli.
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A che cosa potremmo paragonare la nostra vita?
Alla scimmia che tenta di afferrare il riflesso della luce nell’acqua…
Non potete avere tutto quello che il vostro spirito ingordo immagina e desidera!
O chiara luna, fresca, immagine dello stato di bodhisattva2, che splendi e giochi nel cielo del Vuoto assoluto.
Quando lo spirito degli esseri viventi è simile all’acqua pura, vi si riflette la luce del Risveglio.
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In psicologia, l’avarizia corrisponde alla paura e all’incapacità di donare e quindi di amare. Lungi da me esaminarla sotto il punto di vista psicologico. Lo scopo di questa newsletter non è la psicanalizzazione, anzi, ma se questo argomento ti ha toccato ti consiglio di sbarazzarti dell’avarizia come si fa con un paio di scarpe rotte. Dopotutto non ti porterebbero da nessuna parte, no?!
Quando vivevo in Giappone ho praticato inconsapevolmente per la prima volta il concetto del “non attaccamento” : complici gli spazi piccoli ed angusti dei loculi ( o appartamenti) in cui ho abitato, mi sono progressivamente liberata di tante cose che tenevo solo perché magari le avevo da tanto tempo o erano costate molto. Imparare a donare ciò che non ci serve più, imparare a non attaccarsi a ciò che possediamo - e questo vale anche per le persone - ci rende liberi e pronti a ricevere tutto il bello che questa vita ci può donare.
Lasciati andare, condividi ciò che possiedi: il tuo tempo, il tuo denaro, le risorse che hai a disposizione. Non avere paura di condividere ciò che fa parte di te e della tua vita perché siamo tutti connessi in un unico grande sistema. Ciascuno con le proprie possibilità e con i propri tempi, siamo chiamati ad essere una comunità interconnessa ( e non mi riferisco a internet). Prova a scardinare la tua individualità, ragiona come collettività e vedrai che i tuoi traumi, le tue paure, le tue insicurezze possono essere superate.
La cura all’avarizia, per quel che ho capito fino ad ora, è imparare a lasciarsi andare, condividere e amare.
Ti auguro un fine settimana pieno di abbondanza!
Grazie per il tuo tempo,
Eleonora.
E’ il momento del raggiungimento dello stato di Buddha, ovvero l’Illuminazione/Risveglio.
Coloro che hanno raggiunto l’Illuminazione/Risveglio (bodhi) ma che rinunciano al loro livello per assistere gli uomini e guidarli verso la salvezza.