“Ci sono due modi di vivere la vita. Uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa è un miracolo.” Albert Einstein
Lasciare definitivamente il Giappone nel 2013 è stato per me un piccolo “miracolo”. Mi spiego meglio. Decidere di voltare le spalle ad una carriera ben avviata con prospettive di crescita sul lungo termine certamente non è stata una scelta semplice. Per molti anni mi sono chiesta se avessi veramente fatto la cosa giusta. Una volta tornata a casa Tokyo mi mancava, ma è l’Italia la mia “casa” quel posto in cui c’è amore, affetto e amicizia. Per troppo tempo ho sottovalutato il posto da cui provengo perché guardavo sempre verso qualcosa di distante, prima a Milano, poi a Tokyo. Mi ponevo spesso domande su chi ero e su chi volevo essere. Lo capii solamente quando buttai all’aria il castello di sogni che avevo costruito con le mie mani. Volevo essere me stessa, una persona che non si identifica con la professione che svolge, ma nemmeno con le sue passioni. Volevo (voglio) semplicemente essere una persona felice. Senza titoli, senza orpelli, solo io. E’ stato un processo molto lungo che solo ora ha maturato un certo livello di chiarezza nella mia mente. Per questo motivo lo considero come un piccolo “miracolo”, il punto di partenza per imparare a vedere me stessa e la mia vita con occhi nuovi. Volevo liberarmi dai condizionamenti esterni, dai dettami della società che ti spinge ad essere sempre il vincente, sempre al primo posto. Ci ho messo tanto tempo per capirlo. Finalmente, ciò che scelgo di fare ogni giorno lo faccio sempre con la consapevolezza che è perché mi fa stare bene e questo mi basta per ritagliarmi il mio pezzetto di felicità.
Plage De Saleccia, Corsica, 2017
Una delle mie parole preferite in lingua giapponese è wabi sabi, un connubio di sillabe retoriche di suono con un significato ben preciso che mi piace riassumere così: accettare le cose per quello che sono, valorizzandone gli aspetti imperfetti e consumati ma proprio per questo bellissimi. Ok. E’ un concetto che a primo impatto lascia spiazzati perché non ci si aspetta dal Giappone - così apparentemente perfetto nell’ideologia comune - l’elogio dell’imperfezione, dell’irregolarità, dell’incompletezza. Oppure forse solo in Giappone si poteva arrivare a celebrare anche questo. Chissà!
Andiamo fino in fondo e scopriamo il significato di queste due parole.
“In particolare poggia non sull’immanenza dello stato di bellezza ma nel suo passaggio, sulla transizione e soprattutto sull’elaborazione concettuale che porta a considerare “bello” qualcosa: wabi privilegia le cose meno esatte e rifinite che muovono tuttavia a un esercizio spirituale. E’ una bellezza votata alla semplicità e a un certo senso di desolazione. In essa l’emozione è stemperata e si rivolge piuttosto alla riflessione. E’ la tazza dal bordo irregolare, la fantasia priva di geometria di una stoffa; nella calligrafia l’ordine rotto da un tratto, l’energia che sprigiona da un gesto; nell’uomo è la percezione del cuore, un momento di solitudine vissuto in completa immersione nella transitorietà delle cose. Non è più l’occhio, ma la mente che vede. […] Sabi rivaluta anch’esso l’imperfetto, fa qualcosa che si vorrebbe d’istinto celare, un valore. Le rughe che scavano fiumi su un volto, il colore dei capelli che si avvia inesorabile al bianco, la pelle che si raggrinza, l’ammucchiarsi di macchie su braccia e mani: tutto anticipa quanto sarà, ogni cosa fa intravedere la sostanziale fragilità che la incrina.”
In questo estratto del libro “Wa, la via giapponese dell’armonia” della scrittrice Laura Imai Messina, ciò che l’autrice vuole dire è di ammirare la bellezza della transitorietà della vita. Nulla è fatto per durare per sempre, tutto si trasforma o decade. Ammira i dettagli, non dare per scontato un singolo giorno della tua vita perché anche il più brutto e imperfetto è stato degno di essere vissuto.
Wabi Sabi in caratteri giapponesi.
Troppe volte mi sono accorta di perdermi il vero gusto della vita rincorrendo l’ideale di perfezione che avevo meticolosamente costruito nella mia mente: “se sarò magra mi accetteranno”, “se indosserò quella gonna mi noterà”, “se prenderò 30 all’esame sarò considerata brava”, “se avrò successo sul lavoro verrò considerata una che conta”, “se eseguirò l’esercizio correttamente la maestra di danza forse mi darà la parte” e potrei continuare così all’infinito. Quante speranze e quante illusioni insieme! Quanti mondi invisibili ho creato nella mia testa convinta che se avessi fatto x certamente sarebbe successo y. Ma la verità è che la vita non è come un’equazione, le variabili sono infinte ma il valore delle incognite le scopri solo alla fine del percorso, vivendo. Spesso ci fasciamo la testa prima di cadere. Parlo al plurale perché sono quasi sicura che non siamo solo io e te, ma in tanti a ragionare così. Pensiamo a questo, a quello e a quest’altro; con lo sguardo fisso verso il nostro obiettivo corriamo con i paraocchi e ci perdiamo il viaggio. Abbiamo in testa un quadro già finito ma ci siamo persi i dettagli del processo creativo. Vogliamo tutto, ma forse quello che veramente ci serve lo abbiamo già e non lo vediamo oppure non sappiamo come apprezzarlo.
Se in parte ti ritrovi in tutto ciò ti invito a fermarti un attimo e riflettere. Qualche giorno fa leggevo questa citazione di Lev Tolstoj :
“Il segreto della felicità non è far sempre ciò che si vuole, ma di voler sempre ciò che si fa.”
Quindi, in soldoni, qual è la morale?
Credo che ciascuno dovrebbe guardarsi dentro e fare semplicemente queste due cose: la prima è smettere di fare tutto ciò che veramente rappresenta una forzatura e che comporta andare contro se stessi (ad esempio tutto ciò che facciamo per accontentare gli altri); mentre la seconda è quella di imparare ad accettare tutte le situazioni che vorremmo cambiare solo perché non rispecchiano il nostro ideale di perfezione. In un secondo momento poi, bisognerebbe chiedersi anche: una volta raggiunto l’ideale di perfezione tanto sognato, siamo veramente - ma veramente - sicuri che corrisponda alla vera felicità? E’ nostro quel sogno o di qualcun altro? Cè qualcuno che vogliamo impressionare o lo facciamo solo per il nostro piacere personale?
Ninfea, Orto Botanico di Padova, 2017
Forse ti ho sganciato una bomba. O magari anche tu come me ci rifletti da tempo (lo spero!). E’ un argomento tosto quindi la chiudo qui, è estate e ci pensa già il caldo. Lascio a te trovare il modo di approfondire come meglio credi questa volta. Il mio intento resta sempre quello di lanciarti degli stimoli. Ti saluto con questa canzone.
Ascoltala, fa bene al cuore.
Se vuoi delle immagini per riflettere su ciò che per me significa ammirare la bellezza e il wabi sabi le trovi qui.
Grazie per il tuo tempo,
Eleonora.