Capitolo 7: Bonjour Tristesse
Elogio alla tristezza, chi l'ha detto che bisogna essere sempre felici?
“Su questo sentimento sconosciuto di cui la noia, la dolcezza mi ossessionano, esito ad apporre il nome, il bel nome grave di tristezza. […] Oggi, qualcosa si richiude su di me come una seta, spossante e dolce, e mi separa dagli altri.” Françoise Sagan, Bonjour Tristesse
La tristezza è l’ottavo peccato capitale, lo sapevi? Io no! Così ho fatto un po’ di ricerca ed ho trovato questo:
“Il buon cristiano aveva il dovere della letizia. Nel Medioevo i peccati si misuravano prima di tutto nei confronti dell'Altissimo. La tristezza era un'offesa a Dio, questo contava.”
Se la tristezza è un’offesa a Dio, allora brucerò all’inferno perché ho sempre pensato fosse un “sintomo” di intelligenza! Mi sono posta un sacco di domande su questo argomento e oggi chiudo il cerchio del tema di quest’anno. Il titolo l’ho preso in prestito da un romanzo di una delle mie scrittrici francesi preferite, Françoise Sagan, scritto a soli 19 anni, in cui racconta l’estate di spensieratezza mista a tristezza dell’adolescente Cécile che - un po’ per noia un po’ per paura di essere messa da parte - cerca di separare il padre tombeur de femmes dalla nuova compagna. La protagonista un po’ viziata divenne il simbolo della gioventù francese del dopoguerra: una ragazza libera. Ma veniamo a noi, oggi non voglio rubarti troppo tempo - è estate, fa caldo e basta pipponi! - quindi cercherò di essere breve ed arrivare dritta al punto.
“La tristezza è un inquilino dannoso, un confidente funesto, un anticipatore dello sradicamento, nostalgia della famiglia, un compagno dell’angoscia, un congiunto dell’accidia, un lamento esasperante, ricordo delle offese, oscuramento dell’anima, umiliazione morale, prudente ebbrezza, antidoto ipnotico, appannamento delle forme, un verme della carne, afflizione dei pensieri, prigione di un popolo.” Evagrio Pontico, I vizi opposti alle virtù n.5
A sentire Evagrio, è una vera e propria piaga questa tristezza. Non credo sia del tutto vero, o meglio c’è margine di interpretazione ed oggi ho pensato di raccontarti come la intendo io e perché secondo me non è da condannare.
Qualche giorno fa ho ritrovato una mia vecchia agenda del 2012. Nel sfogliarne le pagine sono stata catapultata nella vita che vivevo dieci anni fa fatta di molti viaggi di lavoro, allestimenti vetrine e poca mondanità dall’altra parte del mondo (ciao Tokyo, tvb 💘). Ho scoperto anche che avevo pianificato la mia carriera con tanto di periodi e luoghi dell‘Asia in cui avrei vissuto e che volevo visitare (le mete non sono cambiate). A parte la nostalgia della città - quella non si colmerà mai purtroppo - mi è scesa un po’ di tristezza, inevitabile. Certo, ho scelto io di tornare in Italia e infatti quello che mi manca veramente di quella vita non sono le trasferte, il lavoro nella moda o il trolley sempre pronto davanti alla porta di casa: mi mancano gli stimoli. All’epoca scrivevo di tante cose: desideri, obiettivi di carriera, articoli per una rivista online (gratis), appunti - studiavo tanto il mondo del visual merchandising collegato al mio lavoro di allora - mi piaceva scoprire, scavare a fondo, imparare. Nessuno me l’aveva richiesto, lo facevo perché mi piaceva farlo. Quegli input venivano da me stessa, magari erano in parte anche sollecitati dall’ambiente in cui vivevo. Nel tempo ho maturato esigenze diverse ma ho capito che anche ora me li sto creando io quegli “stimoli” e questa newsletter ne è solo un esempio concreto. Per questo motivo, anche se divento triste ricordando ciò che ho “sacrificato” faccio tesoro della sensazione e cerco di accettarla, fino a quando non se ne torna da dove è venuta.
La tristezza ci risveglia dall’illusione di avere il controllo sulla nostra vita. I desideri frustrati - ovvero i desideri che non si sono realizzati - le speranze infrante e le delusioni sono solo alcuni dei meccanismi che la innescano. In Giappone ero triste perché mi mancava la mia famiglia, in Italia sono triste perché la professione che svolgo ora è stata una scelta quasi obbligata, seppur vantaggiosa, che non mi fa sentire del tutto realizzata. Ho sempre pensato che la soluzione migliore per me fosse di vivere a metà tra di qua e di là: ma se anche raggiungessi quest’obiettivo poi, siamo sicuri che non mi mancherebbe qualcos’altro?
Mi sono chiesta anche se alcune delle mie scelte “importanti” compiute in questa vita non fossero magari dettate dalla paura, ben celata sotto ampi strati di determinazione e impegno. Sto trovando una parte della risposta nel libro scritto a due mani da Krishnananda e Amana dal titolo A tu per tu con la paura, di cui riporto qui un breve paragrafo tratto dal capitolo sul riappropriarsi delle sensazioni:
“E’ necessario trovare un modo per riappropriarsi delle sensazioni, scendendo sotto la vergogna e lo shock, sotto l’intorpidimento nel nostro essere, per poter riscoprire la ricchezza di sentire i nostri stati d’animo - rabbia, gioia, tristezza, vitalità sessuale e anche il semplice silenzio - : tutto ciò alimenta profondamente il nostro potere.”
Per questo dico che c’è bisogno della tristezza, ci fa capire tante cose se la sappiamo abbracciare. E per questo abbiamo bisogno anche di tutto il resto. Non dobbiamo sfuggire a ciò che proviamo, mai: facciamone tesoro e ascoltiamo i messaggi che queste emozioni ci trasmettono. La felicità è effimera, basta un niente per perderla. Quello a cui dovremmo aspirare è avere la gioia nel cuore. O almeno io la penso così.
Prima di salutarci volevo dirti che ho creato un canale su Telegram, olè 💃🏻! Non sarà martellante anzi - in realtà non ho del tutto chiara l’idea di come utilizzarlo - quindi improvviserò. Mi sembrava un’idea carina per rimanere in contatto durante l’estate, per conoscerci un po’ meglio e scambiare due parole su quel che leggi qui (ma anche altro eh!). Il gruppo è riservato agli iscritti di #Mezzorazen, per unirti clicca qui.
A partire da oggi la newsletter si fermerà per una pausa estiva e riprenderà con grinta zen a Settembre. Ti auguro una meravigliosa estate, a presto!
Eleonora.